RIASSUNTI novelle del Decameron

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  1. Nike91
     
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    Queste sono alcune novelle oiù famose del Decamerone di Boccaccio spero vi siano di aiuto!

    SER CIAPPELLETTO

    L'opera parla della storia di tal Ser Ciappelletto, uomo malvagio e dedito ad ogni vizio, quali l’alcool, il cibo, il gioco, la sodomia, e persino il furto e l’omicidio. Essendo un tipo così particolare viene mandato da messer Musciatto, un usuraio che aveva prestato soldi ai Borgognoni (popolo di una regione della Francia), a recuperare questi crediti. Viene ospitato da due fratelli fiorentini, devoti a Musciatto, che vivono in Borgogna. Quando è ospite nella loro casa si ammala molto gravemente. Viene chiamato un prete per la confessione e mentre sta morendo, finge di essere stato un uomo puro, suscitando così nel popolo una grande ammirazione tanto da essere considerato un santo. Alla sua tomba si recarono per chiedere addirittura delle grazie. Questa novella, così semplice nella sua struttura e nella paradossale storia di Ciappelletto viene stesa da Boccaccio con un linguaggio estremamente ironico pieno di humor e di furbizia. Il personaggio malvagio, è anche un uomo molto intelligente e furbo, capace di dialogare con il prete che lo confessa senza mai tradirsi, utilizzando una capacità retorica molto elevata. Le vicende, come quella di Ser Ciappelletto, sono comunque descritte con distaccato humor dall’autore. Boccaccio cioè non esprime il suo punto di vista riguardo al personaggio, né condanna né si compiace, anche quando il racconto arriva alla sua conclusione. Possiamo vedere anche una specie di morale nelle novelle, in questa è che Dio si serve anche degli uomini più malvagi per fare delle grazie e dimostrare il suo amore. Siamo, insomma tutti, buoni o cattivi, strumenti di Dio. Sceglie inoltre dei nomi particolari e divertenti per i personaggi, oltre al protagonista, Ciappelletto, messer Musciatto e il cavalier Senzaterra, dando colore a queste maschere.

    ANDREUCCIO DA PERUGIA
    1. Incontro con la ciciliana e perdita del denaro.
    Andreuccio, un giovane mercante di Perugia, si reca a Napoli, con 500 fiorini d'oro, per comprare dei cavalli. Ingenuamente, mentre è al mercato, egli mostra la borsa con i fiorini per dimostrare che era intenzionato a comprare nonostante la sua indecisione sull'oggetto dell'acquisto. Vedendo questo, una giovane prostituta siciliana decide di sottrargli i fiorini. Informatasi su Andreuccio per mezzo di una vecchia serva conoscente del giovane, la donna invita lo sprovveduto a casa propria e, fingendosi abilmente sua sorella, lo intrattiene per tutta la serata. Andreuccio viene convinto a restare anche per la notte, ma giunto il momento di andare "a deporre il superfluo peso del ventre", dopo essersi spogliato per il caldo, a causa di una tavola schiodata, egli cade nella "bruttura" in un chiassetto. La donna approfitta del momento per rubare gli averi di Andreuccio che non avrà più modo di riaverli né di farsi riaprire per rientrare in casa (almeno per recuperare gli indumenti).
    2. Patto con i ladri.
    Dopo le vicende che lo hanno visto protagonista e vittima nel quartiere di Malpertugio (il quartiere dove era situata la casa della giovane prostituta), Andreuccio si dirige verso il mare per lavarsi. Viste due figure procedere verso di lui, Andreuccio si rifugia in un casolare dove però la puzza che lo avvolgeva lo tradisce, facendolo scoprire dai due ladri (le due figure viste prima da Andreuccio). Sentita la storia della vicenda di Andreuccio, i due ladri propongono al giovane di unirsi a loro a "fare alcuna cosa la quale a fare" andavano promettendogli un guadagno (il progetto dei due ladri era quello di spogliare la salma dell'arcivescovo Minutolo). Andreuccio accetta e si incammina con i due. Andando verso la chiesa i tre trovano un pozzo dove Andreuccio viene calato (in assenza di un secchio per prendere l'acqua) affinché si lavi. Giungono al pozzo per bere alcuni gendarmi. Il loro arrivo provoca la fuga dei due ladri. Credendo essere il secchio appeso alla corda, i gendarmi tirano su quest'ultima e, trovatisi di fronte Andreuccio, scappano. Andreuccio riesce ad uscire dal pozzo e si incammina per la strada dove incontra i due ladri che erano tornati per tirarlo fuori dal pozzo. Giunti alla chiesa maggiore, i tre scoperchiano la tomba dell'arcivescovo. Costretto e pur se dubbioso, Andreuccio entra nell'arca e finge di non trovare il prezioso anello dell'arcivescovo. Improvvisamente i due ladri, rimasti all'esterno dell'arca, scappano chiudendo Andreuccio nella tomba.
    3. Furto del rubino.
    Lasciato chiuso nell'arca, Andreuccio si dispera e crede di non uscire mai più. Sentendo il rumore di altre persone nella chiesa (persone venute per lo stesso motivo che aveva spinto lì Andreuccio e i due ladri),la sua paura aumenta. I nuovi venuti aprono l'arca e, dopo una lunga discussione, fanno entrare all'interno della tomba un prete. Vista l'occasione di salvezza, Andreuccio afferra le gambe del prete scatenando la fuga dei ladri. Andreuccio può così uscire dall'arca con il "suo" anello. Il giovane mercante torna quindi all'albergo dove l'oste, sentito tutto il racconto di Andreuccio, gli consiglia di lasciare subito Napoli. Andreuccio torna così a casa con l'anello.

    LISABETTA DA MESSINA

    A Messina vivevano, insieme alla sorella, Lisabetta, bella ma non ancora sposata, tre ricchi fratelli mercanti (effettivamente nel Due-Trecento, in questa città vivevano diverse colonie di mercanti provenienti da San Gimignano, tra Certaldo e Siena, che aveva una fiorentissima Arte della
    lana, e si ha notizia che gli Ardinghelli, mercanti sangimignanesi, alla metà del Duecento si trasferirono da Messina a Napoli, come i fratelli di Lisabetta), per i quali lavorava Lorenzo, un giovane gentile e di bell’aspetto.
    Lorenzo e Lisabetta si innamorarono, ma una notte, mentre la giovane furtivamente andava da lui, uno dei fratelli li scoprì.L’indomani raccontò tutto agli altri fratelli, con i quali concordò di agire
    per salvare l’onore della famiglia.Condotto Lorenzo in un luogo isolato, lo uccisero e lo seppellirono.Preoccupata per l'assenza dell'innamorato, Lisabetta chiese notizie ai
    fratelli, che le risposero che Lorenzo era assente per una commissione.Tardando il suo ritorno, Lisabetta piangeva afflitta, ma una notte Lorenzo le andò in sogno (tanto posto ebbero nella letteratura medievale, ed in Boccaccio, i sogni rivelatori!), e le rivelò di essere stato ucciso,
    indicando il luogo in cui giaceva il suo cadavere.
    L’indomani, col pretesto di dover uscire con un' amica, la giovane si recò sul luogo indicatole in sogno, scavò e scoprì il cadavere dell'innamorato.
    Allora, con un coltello staccò dal corpo la testa, di nascosto la portò a casa e la sotterrò in un vaso di basilico, che di continuo bagnava con le sue lacrime, tanto che, rigoglioso, vi crebbe l’odoroso aroma.Ma i suoi fratelli, appreso dai vicini che la loro sorella trascorreva intere giornate a curare il basilico, consumando la propria bellezza, glielo sottrassero e, svuotatolo, riconobbero il capo putrefatto di Lorenzo. Nel timore che il loro reato potesse essere scoperto, si trasferirono a Napoli.
    Lisabetta, privata della preziosa reliquia, morì di dolore.

    FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI

    Federigo degli Alberighi, è forse l’incarnazione più compiuta degli ideali cavallereschi di Boccaccio: le sue azioni hanno del meraviglioso e del sorprendente. Innamorato di una gentildonna fiorentina (Giovanna), spende oltre misura del suo per apparire agli occhi dell’amata dotato di quelle virtù che distinguono uno spirito eletto: cortesia, prodezza, liberalità; si riduce così in povertà e, senza lamentarsi, si ritira dalla città in un suo poderetto, dove unica distrazione sua è la caccia con un falcone che gli è rimasto e a cui si lega con affettuosa consuetudine. In quella modesta casa viene un giorno a trovarlo (per la prima volta dopo tanti anni) la donna amata, rimasta vedova con un solo figlioletto, sospinta dalle preghiere del figlio ammalato desideroso di avere il falcone del vicino. Federigo vorrebbe onorarla degnamente, ma non avendo altro per imbandire il pranzo, uccide il diletto falcone, ignorando il vero motivo della visita. La scoperta del suo sacrificio, il suo dolore di non poter soddisfare l’amata commuovono la donna la quale, qualche tempo dopo la morte del bambino, si decide a sposare Federigo, l’uomo che per lei così a lungo ha sofferto e che mai non è venuto meno nella sua devozione di innamorato cortese. La novelletta e narrata da Fiammetta, mostra un contrasto con Nastagio degli onesti. La conclusione delle due novelle è pressochè identica, ma c’è una netta differenza nel modo in cui viene raggiunto lo scopo finale; nella novella di Nastagio, il protagonista usa la furbizia per far assistere alla giovinetta l’inquietante scena del cavaliere che strappa il cuore della ragazza, al fine di conquistare il suo amore, quindi è una cosa che Nastagio fa volontariamente. Federigo invece non immagina che il suo gesto di generosità porterà la bella Giovanna a decidere di sposarlo, quindi il lieto fine è una conseguenza involontaria del suo gesto.

    CISTI FORNAIO
    Cisti è un fornaio e un giorno, consapevole della bontà del suo vino, decide di farlo assaggiare ad un nobile gentiluomo, Geri Spina, legato dell’ambasciatore, e a ai suoi due ambasciatori con la scusa che la giornata andava facendosi molto calda. L’abile capacità di Cisti di attrarre l’attenzione, fa sì che i tre gentiluomini assaggino il suo vino e gli porgano cortesi complimenti. Ad una cena di lavoro, Geni vuole fare assaggiare a tutti il vino di Cisti; consegna così ad un giovane servo un fiasco e lo manda dal fornaio. Il servo, tuttavia, desideroso di bere anche lui la squisita bevanda, si reca da Cisti con un fisco più capiente. Qui inizia uno scontro di battute, indirette perché riportate ad entrambi dallo stesso servo, tra messer Geri e il fornaio che vengono poi a capo della bella scoprendo che la colpa è del servitore. La novella si conclude con Cisti che, nonostante di condizione inferiore a messer Geri, si pone sul suo stesso piano grazie alla nobiltà d’animo.
    Personaggi: il protagonista del racconto è Cisti, un omo, come si dice nella primissima parte della novella di umile professione ma che, baciato dalla fortuna, sia diventato comunque ricchissimo. La sua caratteristica principale è l’onestà; egli, infatti, cerca di svolgere il suo lavoro lealmente senza truffare coloro che mostrano fiducia nei suoi confronti. Su un piano opposto si mostrerà poi il servo che cerca poi di beffare lui e Geri Spina richiedendo più vino del dovuto. Un altro personaggio principale è appunto questo Geri Spina, un gentiluomo mandato a Firenze da Papa Bonifacio per questioni politiche. Entrambi i personaggi si stimano a vicenda, per la liberalità e la nobiltà d’animo che li contraddistingue. Ambedue, alla fine, per queste due doto, saranno premiati con vantaggi concreti per Cisti e morali per Geri.
    Tematiche: liberalità, industria, arte della parola.

    FRATE CIPOLLA
    Frate Cipolla abitava in un convento di frati dell'ordine di San'Antonio di Certaldo, un borgo intorno al castello di Valdelsa, tra Firenze e Siena. Questo piccolo borgo, era abitato da nobili e uomini agiati, e ogni anno Frate Cipolla faceva avanti e indietro per raccogliere le laute offerte e le elemosine dei contadini per il convento. Era un uomo di bassa statura, dai capelli rossi, molto gioviale e scherzoso,un vero amante delle allegre compagnie e anche se non era istruito, era un ottimo oratore e molto stimato da tutti i suoi conoscenti. Nel mese di agosto, com'era sua usanza, durante una Messa nella chiesa parrocchiale, chiese ai fedeli di ricordarsi delle donazioni alla Chiesa, ovviamente ognuno nelle misura che poteva permettersi, e a chi portava generose elemosine, gli avrebbe mostrato una reliquia prestigiosa: una penna delle ali dell'arcangelo Gabriele. Mentre Frate Cipolla predicava, tra i fedeli erano presenti Giovanni e Biagio, due compagni di brigata del frate che decisero di beffarlo, rubandogli la reliquia ,avendo saputo che la mattina seguente il frate sarebbe partito dal borgo. Biagio avrebbe dovuto intrattenere il servitore e Giovanni avrebbe invece rubato la piuma, ovunque essa fosse nascosta, per poi vedere cosa avrebbe detto il frate ai fedeli, senza avere la reliquia. Il fante del frate, Guccio, che aveva anche altri soprannomi, che stavano a sottolineare la sua sporcizia, libidine e pesantezza, era una persona cattiva e molto inetta, le cui caratteristiche ( tardo, sudicio, bugiardo; negligente,disubbidiente , maldicente; trascurato , smemorato e scostumato) avrebbero rovinato le virtù di uomini importanti del passato.Egli pensava di essere un uomo piacente, a tal punto da pensare che tutte le donne si innamorassero solo vedendolo, per questo motivo corteggiava tutte le donne. Così Frate Cipolla, arrivato in albergo,aveva detto a Guccio di non toccare anzi,di sorvegliare le sue cose, specialmente le bisacce contenenti oggetti sacri. Ma Guccio Imbratta aveva preferito andare nelle cucine dell'albergo nella ricerca di qualche serva. Alla visione di Nuta, una donna grassa, grossa, piccola e malfatta, molto prosperosa, sudata, unta e affumicata, Guccio vi si gettò come un avvoltoio su una carogna, lasciando la camera del frate incustodita. Mentre corteggiava Nuta, riempiendole le orecchie di parole e complimenti, i due amici del frate, arrivavano in albergo e trovavano, Guccio Porco impegnato nel corteggiamento, allora si intrufolarono con facilità nella camera del frate e cercando, trovarono, fasciata, una piuma di pappagallo, subito pensarono si trattasse dell'importante reliquia da mostrare ai certaldesi, e la scambiarono con dei pezzi di carbone. I fedeli del paese, sparsa la voce della reliquia, si avviarono tutti verso il castello tanto da starci a mala pena. Il frate sentendo la moltitudine di persone, che era accorsa per vedere la reliquia, mandò a chiamare Guccio Imbratta per fargli portare le sue bisacce. Guccio, dopo aver portato le bisacce al frate, andò a suonare le campane per l'esposizione delle reliquie. Il frate non accorgendosi che le bisacce erano state toccate, iniziò la predica e con enfasi fece accendere due grossi ceri. Quando aprì la cassetta che doveva contenere la penna, e vide i pezzi di carbone, non dubitò di Guccio Imbratta poichè non lo riteneva capace di tanto. Alzò le mani al cielo ringraziando Dio e iniziò a inventare qualcosa per ingannare i fedeli. Disse che aveva girato per vari paesi e città d'Italia, facendo credere di essere arrivato fino in paesi esotici e di aver visto diverse situazioni e tipi di persone. Fino ad arrivare a Gerusalemme, dove Sant'Antonio gli fece vedere svariate reliquie, di cui ne citò alcune, tra cui un dito delle Spirito Santo. Per ringraziarlo della sua compagnia gliene diede alcune, oltre alla piuma dell'angelo Gabriele, gli diede il suono delle campane del tempio di Salomone a Gerusalemme racchiuso in un' ampolla, e dei carboni, con il quale era stato bruciato e fatto martire San Lorenzo. Benchè egli avesse da tempo queste reliquie, il suo superiore, l'abate, non gli aveva mai permesso di mostrarle, poichè non si era certi della loro autenticità, ma quel giorno decise lo stesso di farlo perchè ad esse erano state attribuite dei miracoli. Disse infine che poichè le cassette, contenenti una la piuma e l'altra i carboni erano simili, per questo motivo le aveva scambiate, portando con sè i carboni, visto che quello era il volere di Dio, infatti due giorni dopo sarebbe stato San Lorenzo. Cantò insieme ai fedeli una lode a San Lorenzo e poi mostrò i carboni, dicendo che, chiunque li avesse toccati, sarebbe stato immune da scottature per un anno. La moltitudine di fedeli si avvicinò con ammirazione verso il frate, facendo offerte sempre più alte per poter toccare la reliquia.Il frate iniziò così a segnare croci sulle fronti dei fedeli, affermando che tanto poi, i santi carboni si sarebbero ricostituiti nella cassetta. Giovanni e Biagio, che erano anch'essi ad ascoltare la predica, rimasero stupefatti dall'astuzia con la quale Frate Cipolla era riuscito ad ingannare i certaldesi e gli restituirono la piuma. Andarono poi a festeggiare insieme al resto del paese e l'anno seguente la piuma gli procurò non meno delle stesse offerte dei carboni.

    CALANDARINO E L’ELITROPIA

    Calandrino, personaggio realmente esistito, è il semplice, lo sciocco per antonomasia (ad un livello ancora superiore a quello raggiunto da Guccio Porco) e la cosa peggiore è che Calandrino è convinto di essere furbo. Proprio tale caratteristica fa partecipare positivamente il lettore alla burla, quasi che Calandrino meritasse il crudele scherzo di cui è vittima.
    A Firenze, un "dipintore" chiamato Calandrino ha per amici altri due "dipintori": Bruno e Buffalmacco, uomini molto più furbi di lui e che spesso lo prendevano in giro approfittando della sua stupidità.
    Trovandolo nella chiesa di S. Giovanni ad osservare il Tabernacolo coinvolgono in un crudele scherzo. Maso, un altro amico, illustra a Calandrino le virtù delle pietre preziose che si trovavano in terre lontane come la famosa terra di Bengodi nella quale si legavano le vigne con le salsicce e vi era una montagna di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale vi erano persone che cuocevano maccheroni in brodo di cappone e li buttavano giù. In questo paese vi era ovviamente un fiume di vernaccia.
    Molto interessato Calandrino chiede dove fosse tale paese. La risposta di Maso conferma i dubbi dell’uomo: è lontano più di "millanta" miglia, "più là che Abruzzi".
    Comunque pietre preziose si trovano anche vicino la città: nel Mugnone. Fra queste pietre vi è l’elitropia, la pietra che dona l’invisibilità.
    Alle tre del pomeriggio ("ora della nona") Calandrino propone a Bruno e Buffalmacco di cercare la famosa pietra (nera) che avrebbe dato loro la ricchezza. Concordano di andare al Mugnone la domenica mattina.
    Arrivati sul posto Calandrino raccoglie tutte le pietre nere che trova e, verso l’ora di pranzo, è così carico di pietre che quasi non ce la fa più a camminare.
    I due amici iniziano a fingere di non vederlo e Calandrino non parla per non far scoprire loro di aver trovato la pietra che dona l’invisibilità.
    Lo prendono anche a sassate.
    Il colmo della beffa: mentre Calandrino torna in città nessuno lo saluta, quindi egli non ha dubbi circa la sua invisibilità.
    Arrivato a casa Monna Tessa, la moglie, lo rimprovera perché ha fatto tardi per il pranzo. Calandrino picchia la moglie. Spiegherà agli amici di essere molto sfortunato: aveva trovato l’elitropia ma sua moglie ne aveva annullato la virtù perché le donne, è risaputo, fanno perdere la virtù a tutte le cose.

    PERSONAGGI
    Il Boccaccio non ha descritto l’aspetto fisico dei personaggi eccezion fatta per Monna Tessa, ma le informazioni date nella novella sono sufficienti; risulta facile immaginarli.
    CALANDRINO, uomo del popolo ignorante ma soprattutto credulone e sciocco, si distingue dalle figure presenti nelle altre novelle perché la sua comicità non è data dalla sua stoltezza bensì dal fatto che egli vuole essere scaltro. Egli pretende di volgere a suo vantaggio quella che è una beffa e, cosa peggiore di tutte, non ha neanche capito di essere stato beffato. Una figura realmente meschina e negativa.
    GLI AMICI, uomini perdigiorno, senza una particolare moralità, anche loro sono più sciocchi di quanto non credono; il loro scherzo si rivela un dramma ma continuano a ridere senza pietà e senza rivelare nulla allo stesso Calandrino.

    La povera Monna Tessa, l’unica figura positiva della novella che non può opporsi alla furia del marito e che viene crudelmente percossa a causa della stupidità non solo di lui ma anche e principalmente degli amici del marito. È la dimostrazione del livello di soggezione che le donne medievali avevano in una società guidata dall’uomo.


     
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24 replies since 14/4/2008, 13:44   258086 views
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